Teatri dimenticati

La felicità è nelle piccole cose: il Teatro Serra di Pontenure con i suoi 50 posti è definito come il più piccolo teatro italiano all’interno di Teatri negati. Censimento dei teatri chiusi in Italia, volume curato da Francesco Giambrone e Carmelo Guarino, pubblicato nel 2008 da Franco Angeli editore.

Il libro mostra i risultati di una capillare ricerca che ha coinvolto 8101 Comuni italiani e che “mostra un’Italia che non vediamo più: quella dei piccoli gioielli di provincia dove un tempo la gente si affollava per vivere la magia del palcoscenico” (La Repubblica, 2 novembre 2008).  Secondo Riccardo Muti, a cui è affidata la prefazione del volume, il nostro è un Paese che “ha costruito la sua storia sulla dorsale della cultura musicale e drammatica. E noi abbandoniamo ciò che secoli di storia ci hanno donato”. 

Sono 428 i teatri chiusi, inventariati e classificati dal censimento, in cui il Teatro Serra di Villa Raggio è citato come una caso emblematico e particolarmente significativo, autentico e prezioso gioiello dell’Ottocento.
Protagonista del bellissimo racconto di Marco Baliani all’interno del volume e ritratto in numerose immagini, il Teatro Serra è inoltre citato nella stessa ricerca in Cinque casi emblematici, accanto alla storia del Teatro Margherita di Bari, del Teatro Amintore Galli di Rimini, del Teatro Samonà di Sciacca, del Teatro Ernesto Rossi di Pisa. 

Il piccolo Teatro di Villa Raggio a Pontenure vicino Piacenza è un giardino floreale. La ricca famiglia che l’ha voluto e realizzato doveva essere davvero amante della flora. Il teatro stesso è incastrato tra due serre in ghisa e vetro e sembra il naturale prolungamento, come un’infiorescenza di eterna primavera.
Forse perché, come in 
una serra, qui si coltivano fiori preziosi, piante rare, originali arbusti. Sono le parole e i gesti di noi attori che qui, in questo teatro, riscopriamo la nostra vera appartenenza non al concreto e materiale mondo della carne animale ma a quello fosforescente e fluttuante del regno vegetale. Anche noi, in fondo, siamo fiori delicati da proteggere e da curare con amore.
Appena sono entrato anch’io mi sono sentito crescere a fior di pelle nervature e fibre che non conoscevo. Mi sa che stasera il nostro recitare sarà tutto un florilegio di bouquet e di mazzi di fiori e nonostante la durezza dei dialoghi della commedia che rappresenteremo, stasera ci lanceremo rose e giacinti profumati.
Chissà se la Duse proprio in questo teatro, come dice la leggenda, impiegò davvero tre minuti buoni nel silenzio più totale solo per raccogliere da terra una rosa. Era nella Signora delle Camelie; per l’appunto un tripudio di fiori malati e decadenti.
Oppure questo teatro – serra è un’illusione e, in realtà, invece di essere una scatola profumata che invoglia alla soavità è una trappola insidiosa.
Forse nascosto in platea 
stasera ci sarà un severo giardiniere pronto, ad un nostro minimo accenno drammatico vegetale, a lanciarci pomodori e cespi di lattuga, a trasformarci non in fiori preziosi ma in un verderame da spazzatura, come accade nei mercati quando le bancarelle chiudono e sul selciato restano le foglie, i torsoli, gli scarti di ciò che un tempo erano sostanze vegetali.
Nel camerino però mi hanno fatto trovare una rosa e un biglietto di benvenuto. Devo gioire o insospettirmi?

Marco Baliani